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Venti Anni da consulente informatico

Celebrazione dei 20 anni di attività professionale

Venti anni da libero professionista; tanti ne sono passati. È forse il tempo giusto per fare qualche consuntivo, pianificare qualcosa di utile per il prossimo futuro, celebrare questo evento in modo degno, e perché no, dopo 20 anni, magari togliermi anche qualche sassolino dalle scarpe che così tanto fastidio provoca ad ogni passo.

Esattamente venti anni, da quando decisi di buttarmi anima e corpo nel mercato dei servizi di consulenza informatica. In questo settore, moltissimi sono stati i cambiamenti, dal 1999 ad oggi; perché la tecnologia è un treno che corre veloce, fa poche fermate e soprattutto non aspetta nessuno. Prosegue inarrestabile verso un futuro tutto ancora tutto da disegnare e da scoprire.

Una storia lunga venti anni, per molti versi avvincente quella degli ultimi due decenni, fatta di alti e bassi, dalla quale ho imparato molte cose, soprattutto a tenere duro contro le avversità. Una storia strapiena di compromessi ed accettazioni forzate, di rischi più o meno calcolati e necessità di sopravvivenza a qualsiasi costo, di amare sconfitte, ma anche di grandi soddisfazioni.

Avrai certame già compreso che questo post sarà tutto in prima persona. In fondo è il mio Blog e questa è la mia storia personale degli ultimi due decenni. Che diamine; mi potrò pur permettere il lusso di parlare in prima persona almeno qui, non credi?!

Lasciami innanzi tutto dire che qui non farò qui alcun cenno ad argomenti squisitamente tecnici, i più curiosi se vorranno, potranno approfondire qualcosa di più in un articolo mirato sulla mia formazione professionale che scrissi qualche tempo fa in un altro mio sito. Oppure, i più masochisti potranno annoiarsi leggendo alcune mie personali considerazioni sul mestiere di Consulente informatico in questo post, oppure in quest’altro. In alternativa, pazientare che mi decida a scrivere qualcosa di più sull’argomento.

Una straordinaria avventura

Forse avrei dovuto dire “da ieri a oggi”, dove per ieri intendo un giorno qualsiasi sul finire dell’ultimo anno del secolo scorso. Mentre con oggi voglio significare proprio questi giorni, all’alba degli anni venti del secondo millennio. Come a tracciare un netto confine tra qualsiasi cosa ci fosse prima che questa avventura iniziasse e tutto ciò da li prese il via.

In questa storia lunga venti anni c’è una vasta schiera di personaggi e di pochi interpreti, a dire il vero un solo interprete: me medesimo.

Qualcuno, al tempo non si fece alcuno scrupolo a propinarmi suggerimenti e consigli non richiesti sulla mia scelta di abbandonare un “lavoro sicuro” per qualcosa di altamente incerto. Sulle difficoltà che avrei dovuto affrontare, sugli altissimi rischi che stavo correndo e sul fatto che mi sarei presto andato a ficcare in qualche serio guaio.

Ma, tanto per citare il testo di una nota canzone di Fabrizio De Andrè, è assai noto che:

Si sa che la gente dà buoni consigli, sentendosi come Gesù nel tempio; si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio.

Da “Bocca di Rosa” di Fabrizio De André

Ovviamente non fu così; ho sempre evitato accuratamente di andarmi a cacciare in qualche guaio serio. E poi ormai, prima di lasciare il mio tranquillo posto di lavoro discretamente remunerato, avevo già fatto i miei conti e tirato le mie somme. Sapevo che erano maturi i tempi per migrare altrove e seguire il mio istinto a testa bassa, con decisione e caparbietà. Era tempo di uscire dalle quattro mura di un ufficio, seppur blasonato, ma troppo imperniato su una rigida gerarchia stantia ed asfissiante, dove le idee contavano ben poco, così come pure l’iniziativa personale e la creatività.

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D’altra parte, era già tutto deciso e pianificato a dovere. Avevo già preparato con cura la mia valigia, il biglietto aereo era già in tasca insieme al passaporto e la data della partenza sempre più vicina. Non mancava proprio niente: il sogno americano stava per diventare realtà.

Il periodo americano

Anche per gli italiani più patrioti ed attaccati al proprio campanile, la vista dall’alto di Liberty Island con la grande statua della libertà, provoca quasi sempre la sensazione di aver raggiunto il Nuovo Mondo, qualsiasi cosa ciò possa significare. È così che ha avuto inizio ciò che preferisco identificare come il periodo americano.

Questo si, che fu davvero un bel periodo; conservo bei ricordi dei “momenti americani”. Il North West degli Stati Uniti è un luogo che sa essere molto gradevole se lo si sa prendere per il verso giusto; anche se è una parte del globo nella quale ci sono giorni in cui piove e giorni in cui piove molto. La gente è cordiale e tutti sembrano darsi un gran da fare per vivere sereni ed essere felici.

Poi all’improvviso le torri del World Trade Center vennero giù insieme a molti di coloro che ci lavoravano dentro ed alla salute mentale di quelli che stavano fuori. D’un colpo tutto cambiò assumendo un aspetto tetro e cupo. Seguirono anni piuttosto bui ed incerti per tutti o quasi; il tessuto sociale era stato brutalmente costretto a riorganizzarsi, ma ci voleva tempo e bisognava fare un salto di qualità nel modo di pensare per immaginarsi un nuovo futuro e renderlo possibile.

Non tutti ce la fecero a superare il 2001 indenni e neppure gli anni immediatamente successivi. Molte aziende andarono a gambe all’aria e tra queste l’azienda americana con la quale mi trovavo a collaborare. Infatti, una bella mattina mi capitò di ricevere una chiamata dal CEO di quell’azienda che mi informava in modo sbrigativo e perentorio di trovarmi qualche altra opzione, poiché il banco era saltato ed il contratto che regolava il nostro rapporto professionale era da considerarsi ormai carta straccia.

Era ormai palese che le grandi aspettative riposte in quella sottospecie di sogno americano erano andate a farsi benedire, con buona pace del gran numero di progetti High Tech del quale mi stavo occupando al momento e delle prospettive professionali e di business future.

Il ritorno ai partii lidi

Tornato nella mia città natale, presi a focalizzarmi con più attenzione agli aspetti del business in Italia, insieme ad un mio carissimo amico, tirammo su una startup di servizi informatici. Niente male davvero: i primi anni andava tutto gonfie vele, finché arrivo la crisi del 2010. Un vero inferno! Fra ordinativi quasi a zero, fatture da pagare e buste paga da onorare, decidemmo che la strada migliore da intraprendere sarebbe stata la chiusura, cercando per quanto possibile, il minore dei mali.

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Tornai quindi a fare il libero professionista a tempo pieno; a lavorare in proprio in un settore più circoscritto, ma potenzialmente più solido. In fondo il mercato delle consulenze informatiche e del supporto tecnico per le infrastrutture IT delle piccole/medie imprese italiane, sembrava all’inizio essere piuttosto promettente. Tanto più che nel frattempo si era già aperto un interessante opportunità per il supporto tecnico IT per una importante azienda Italiana del settore aeronautico.

Quando anche questo progetto si concluse, seppure alquanto inaspettatamente, non posso nascondere che ebbi più di qualche difficoltà. Mi ero accorto di aver perso il contatto con il mondo IT esterno, per via del fatto che quel progetto mi aveva assorbito per la quasi totalità del tempo. Un errore dal quale ho imparato non poco.

Rimettersi a camminare sulle proprie gambe dopo questo ulteriore scossone ha incluso più di qualche difficoltà, oltre a discreti sforzi. Pochi clienti, mercato in picchiata ed ordinativi azzerati. Tuttavia, tante idee e voglia di fare possono essere un eccellente carburante. Tant’è che dopo circa un anno o poco più di febbrile ricerca di riemergere, le cose sembravano finalmente riprendere a marciare per il giusto verso.

Oggi, sul finire del primo ventennio del XXI secolo, posso dirmi fiero di essere ancora qua. Lo dico con una punta d’orgoglio: Ebbene si, sono ancora qua e ci sono per restarci.

Ora è Tempo di consuntivi

Oggi credo sia il tempo di fare un breve, seppur significativo, consuntivo serio su questi ultimi venti anni.

Molte delle persone che ho conosciuto strada facendo, le quali hanno voluto intraprendere un viaggio simile al mio, sembrano essersi perse per strada. Alcuni di loro hanno preferito farsi assumere in qualche azienda medio-piccola, sono tornati quindi ad essere “impiegati”. Altri ho saputo che hanno preferito cambiare radicalmente settore: alcuni hanno aperto un bar o una tabaccheria oppure una “Pizza a Taglio”. Altri ancora, sono tornati nella piccola azienda di trasporti di famiglia. Mentre, alcuni cercano di sopravvivere e tirare avanti, sbarcando il lunario con lavori saltuari di diversa natura.

Quasi tutti, in qualche modo, sono dovuti scendere ad un duro compromesso; un out-out che li ha costretti a rinunciare a qualcosa di grande significato per la loro crescita professionale e per la soddisfazione personale. Cose, queste, che non mi paiono affatto marginali o di poco conto.

Personalmente, sono convinto di essere riuscito a raggiungere esattamente (o quasi) ciò che avrei voluto fare, diventando esattamente (o quasi) ciò che avrei voluto essere. In fin dei conti, faccio il mestiere più bello del mondo. Quale mestiere? Ma è ovvio: il mestiere di fare proprio ciò che più mi piace fare.

Guardare avanti

Ora è necessario guardare avanti e se possibile, guardare oltre. L’evoluzione della tecnologia non si ferma mai, cammina a grandi passi e spesso neanche in linea retta, ma zigzagando in modo frenetico in direzioni imprevedibili: Una scheggia impazzita, insomma. Noi che facciamo questo mestiere siamo costretti ad inseguire costantemente il bizzarro andamento dell’evoluzione tecnologica, che non si sa mai domani dove andrà a parare.

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Nuovi linguaggi di programmazione, nuovi framework, nuovi hardware; ma anche nuovi sistemi, nuovi strumenti e nuove architetture. Per stare al passo con tutto questo è necessaria un costante studio ed aggiornamenti continui, ma anche una una rigida disciplina, concentrazione e tenacia da vendere, oltre sicuramente a tante buone idee ed una poco comune voglia di fare. Tutte cose che a me non credo manchino.

Guardare avanti, quindi; anche se gli anni passano ed i capelli imbiancano; ma tanto quelli non stanno nel mio campo visivo, quindo non me ne curo più di tanto. Guardare avanti, anche se talvolta mi capita di incontrare qualcuno che sarebbe ben felice di farmi le scarpe.

Il mio personale modo di continuare a guardare avanti? Beh, consiste nel chiedermi spesso:

Caro amico mio, cosa vuoi fare da grande?

Un modo, questo, che oltre ad esorcizzare le inevitabili avversità, mi ha sempre ispirato nella costante ricerca di un futuro professionale migliore, e che questo possa essere sempre e comunque aderente alla mia soddisfazione personale.

Conclusioni

Sono orgoglioso di essere arrivato fin qui. Non è retorica; sono davvero orgoglioso di tutto ciò che ho fatto, delle decisioni che ho preso in campo professionale, delle scelte fatte e di risultati ottenuti. Se dovessi ricominciare daccapo, quasi quasi rifarei tutto nello stesso modo; magari aggiustando qua e la qualche dettaglio.

Ha un sapore particolare celebrare questi primi venti anni da libero professionista, non mi sarei mai aspettato di poter assaporare tutto il bello che c’è in questo importante traguardo. E pensare che agli inizi sembrava una specie di gioco, un’allegra avventura nella quale imbarcarsi senza troppo starci a pensare su.

In tutta onestà, non so se debbo davvero considerarmi un tipo fortunato, oppure una persona talmente lungimirante e cocciuta da ignorare qualsiasi tipo di difficoltà. Una cosa è certa, mi ritengo un inguaribile ottimista, oltre ad un rigoroso osservante del:

faber est suae quisque fortunae.

Locuzione latina: “Ciascuno è artefice della propria sorte”

… Come dicevano i Latini; credo ci sia del vero in questa locuzione. Ma ora sono proprio curioso di vedere cosa mi riserverà il futuro.

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