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I Figli delle App

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I figli delle app sono le nuove generazioni che sono nate subito dopo quella che potremo definire come la rivoluzione della tecnologica informatica moderna; diciamo, a partire dal 2001 in poi.

Alcuni hanno persino cercato di fare classificazioni più ristrette: Generazione Z, iGeneration, Post-Millenials, eccetera eccetera. Ma io preferisco chiamarli più genericamente Figli delle App, perché ritengo che sia meno restrittivo, abbracciando un arco temporale un po’ più vasto. Più consono, cioè, a definire un insieme di micro-generazioni che hanno in comune l’innata familiarità con le tecnologie più moderne, quelle che hanno permeato l’intera loro esistenza.

I figli delle app Sono coloro che sono nati, cresciuti e si sono evoluti nell’era dell’accesso ad internet ed a strumenti tecnologici evoluti fin da quando erano ancora nella culla; che sono cresciuti a pane e Whatsapp, con lo smartphone sempre a portata di mano. Sono cioè coloro che hanno formato la mente su ciò che accade in tempo reale in ogni angolo del pianeta.

Non è possibile fare un confronto tra questa generazione e le precedenti, semplicemente perché il divario tecnologico è immenso; così come lo è il divario culturale, che si è evoluto su un terreno di coltura radicalmente diverso ed indubbiamente più fertile.

App e figli delle app

Le App (abbreviazione di “Applicazioni”) hanno introdotto un nuovo modo di organizzare e gestire il nostro quotidiano; oltre che di semplificare l’utilizzo di strumenti sempre più complessi, come compute, smartphone, tablet e quant’altro.

Da quando le nuove tecnologie digitali hanno iniziato a pervadere la società, alcuni comportamenti basilari hanno cominciato a scricchiolare sotto la spinta di nuovi modelli comportamentali imposti dalle nuove metodologie di comunicazione.

Il mondo sta cambiando, e lo sta facendo più velocemente di quanto la storia dell’umanità possa ricordare. I nuovi strumenti tecnologici oggi ci permettono di fare qualsiasi cosa, di accedere a qualsiasi informazione e di interagire istantaneamente con chiunque. Tutte cose che solo fino ad un paio decenni fa abitavano solo nella nostra immaginazione ed in qualche film di fantascienza.

I figli delle app hanno saputo adattarsi meravigliosamente ad un modo di vivere incentrato sulle app.

La rivoluzione delle App ed i Figli delle App.

Una specie di rivoluzione, insomma; pacifica, ma pur sempre una rivoluzione. E come spesso avviene in molte rivoluzioni, i membri della società tendono ad acquisire il nuovo, a diverse velocità e con diverse sfumature e varianti.

Da una parte ci sono gli Ostici (noti anche come Keeg), persone che la tecnologia la subiscono, sono costretti loro malgrado ad utilizzarla per via del fatto che molti oggetti (dal termostato della caldaia, alla TV, al frigorifero, eccetera) si stanno velocemente trasformando in veri e propri sistemi informatici, ricchi di App e con tutte le complessità del caso.

Da un’altra parte, vi sono gli Entusiasti, persone che ne rimangono abbagliati dalle funzionalità di questi gadget e dalle promesse di una vita migliore, interamente interconnessa, i quali si lasciano coinvolgere i buon grado, anche senza necessariamente cosa c’è “sotto il cofano”. Infine ci sono i Geek (o Haker, nell’accezione positiva del termine), ovvero, quelli che le tecnologie le conoscono davvero, sanno come gestirle e manipolarle, e che sono ben consci della fatica fatta per studiarle e conoscerle a fondo.

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Figli delle App, Nativi Digitali e la Tecnologia

Fra tutti, quelli che più mi preoccupano sono gli Entusiasti, composti in larga parte dai cosiddetti Nativi Digitali. Quella schiera di ragazzi e ragazze che sono cresciuti tra smartphone e PC; che, da piccoli, invece di giocare con i mattoncini del Lego®, con il Subbuteo®, o con le Barbie®.

Hanno invece passato gran parte dell’infanzia in compagnia di PC Playstation®  e Xbox®. Ed ora eccoli lì, a spendere gran parte del loro tempo libero (e non solo) a navigare, con le dita agilissime, sui social con il loro scintillante telefonino tra le mani.

Intendiamoci! Non che voglia biasimarli per questa loro utile predisposizione e per la loro innata facilità di approccio ai nuovi strumenti tecnologici. Solo che a sentirli parlare, i loro discorsi trasudano termini tecnologici astrusi ed altisonanti.

Ad osservarli bene, ostentano tutta la loro conoscenza nell’uso dei gadget più evoluti con grande fierezza. Tant’è che se gli si chiedesse, cosa desiderino fare da grandi, li si sentirebbe rispondere con grande naturalezza:

Da grande voglio fare informatica, conosco già quasi tutto e la materia ha più pochissimi segreti per me.

La generazione precedente avrebbe detto «Da grande voglio fare il pompiere», ma questa è un’altra storia.

Insomma, sembra proprio che essere in grado di padroneggiare questa o quella applicazione del proprio smartphone e riuscire a far funzionare in qualche modo il modem della connessione internet di casa, sia fonte di grandissima soddisfazione.

Quando poi è nonna Elvira ad invocare il loro aiuto per risistemare i canali TV del decoder del digitale terrestre, o meglio ancora, sia la zia Pasqualina a chiedere loro aiuto nel far funzionare l’applicazione Facebook sul nuovissimo smartphone appena acquistato…

Beh, questo si che da loro un innegabile senso di onnipotenza.

Dall’enfasi alla prima delusione dei figli delle app

Poi finalmente inizia l’avventura a quella scuola di informatica tanto desiderata ed iniziano le lezioni vere e proprie (alla scuola media superiore o all’università che sia) ed i nostri Figli delle App finalmente si avviano allo studio dell’informatica vera e propria.

Qui drammaticamente scoprono che essa è ben altra cosa che saper manovrare con destrezza uno gadget elettronico e ben presto realizzano che le conoscenze sulla Playstation®  sono limitate tutt’al più qualche schermata di avvio e nulla più.

Così rimangono disperatamente delusi e non sanno più che pesci prendere. Anche perché nel frattempo l’ultimo esame o compito di matematica (materia per altro fondamentale) è stata una disfatta e che nella materia “Reti e Sistemi” solo pochissimi concetti sono vagamente chiari.

Le difficoltà aumentano col passare del tempo e degli esami, di pari passo allo sconforto ed alla delusione.

Spesso si fa grande confusione

Non sono ovviamente soltanto i più giovani a cadere nella trappola: «L’informatica non ha segreti per me». Anche i più grandicelli, e spesso anche qualche adulto, sovente ci casca. Infatti, l’errore più comune sembra risiedere nella grande confusione che solitamente si fa tra “Utilizzo” e “Programmazione”, ovvero, alla mancata distinzione tra utilizzo e mezzo.

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Tanto per fare un semplice esempio. Molti posseggono un’autovettura, della quale conoscono perfettamente molte delle nozioni necessarie per poterla far funzionare al meglio. Inoltre, molti sono estremamente capaci nella guida, riuscendo a guidarla con destrezza su sentieri accidentati, se non addirittura su strade ghiacciate con grande sicurezza. Ma questo non credo possa significare di essere anche capaci di progettare e realizzare un’automobile!

Non a caso, la progettazione e la realizzazione di un’autovettura è cosa assai complessa; è costituita di diverse migliaia di componenti e dispositivi. Inoltre, la sua progettazione, deve necessariamente tenere conto di un enorme mole di fattori, di variabili e di compromessi, necessari per produrre proprio lo specifico modello richiesto. Che sia esso un fuoristrada, una city-car, o una gran turismo.

I progettisti solitamente considerano il progetto di un’automobile come un enorme “Sistema”, fatto di molti sotto-sistemi. Essi devono metter a frutto tutte le loro conoscenze specifiche della Ingegneria Meccanica (e non solo) per poter combinare insieme i vari elementi e farli funzionare nel modo desiderato: dai vari elementi del cambio, alle componenti delle sospensioni, al dimensionamento ottimale del motore, eccetera eccetera.

Informatica? Che ci vuole!

Per tornare all’informatica ed alle nuove tecnologie della comunicazione in genere, la progettazione di un’applicazione software (semplice o complessa, che sia) non si discosta poi di molto da quella dell’esempio dell’automobile.

Eppure, quando si tratta di tecnologia informatica, sembrano essere tutti convinti che sia in qualche modo qualcosa di semplice ed a portata di mano. Quando poi si dovesse inciampare in qualche inaspettata complicazione maneggiando il nuovo modello di smartphone o il nuovo laptop; beh, allora ecco che salta fuori la famosa frase di rito:

Mi farò aiutare da mio cugino; lui fa l’idraulico, ma di queste cose ci capisce. Quello è un genio dell’informatica, e questi aggeggi elettronici lui se li manga per colazione.

Ci risiamo. Ecco che ritorna la confusione tra “Utilizzo” e “Mezzo”. In questo caso, lo smartphone o il tablet (il “Mezzo”) ha sotto al coperchio una complessità da far venire i brividi, ricco com’è di diavolerie di ogni tipo. Tuttavia la configurazione della App, ovvero l’impostazione di questo o quel tipo di comportamento dell’applicazione, altro non è che un aspetto del suo Utilizzo; sicuramente più complesso del semplice utilizzo come telefono per chiamare gli amici.

Ma non credo sia necessario un “Genio dell’Informatica” (o presunto tale) per rimettere ordine in una configurazione. In fondo le funzioni che sovraintendono alla configurazione altro non sono che un’estensione dell’interfaccia utente del dispositivo o della App;  la qual cosa ha ben poco a che vedere con l’informatica. Esattamente come la guida dell’automobile appena citata.

Tutto è complesso, Niente è semplice

Non ne sono sicuro, ma sembra proprio che la maggior parte de I Figli delle App considerino qualsiasi tipo di dispositivo tecnologico come una specie di scatola magica che funziona A Prescindere, e troppo spesso sembrano dimenticare la grande complessità che si nasconde al suo interno.

Ovviamente non è né possibile, né tanto meno auspicabile che chiunque utilizzi uno strumento si interroghi sul suo funzionamento. Ma credo che ci sarebbe da aspettarsi che almeno coloro che da grande vogliono fare l’informatico, qualche domanda se la pongano; che almeno qualche dubbio alimenti la loro curiosità.

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Qui entrano in gioco alcuni attori fondamentali per stimolare i nostri  informatici in erba – I Figli delle App, appunto – a concretizzare la loro visione. Che sia la Scuola, oppure il web, oppure qualsiasi altro portatore sano di informazione e formazione, poco importa.

È essenziale è riuscire a raccontare loro che la complessità non è necessariamente un elemento negativo, anche se ostico; tutt’altro. La complessità è pressoché in tutte le cose e le difficoltà per che si possono incontrare per comprenderla e dominarla possono essere molte.

D’altra parte, la complessità, a farci caso, sta davvero in tutte le cose; credo sia essenziale che i Figli delle App, si rendano conto che questo è un dato di fatto ineludibile. Ma ci si può comunque convivere serenamente, accettando il fatto che è possibile addentrarcisi a piccoli passi e con una sufficiente dose di umiltà e tenacia.

Non vi scoraggiate!

È questo che vorrei riuscire a trasmettere ai Figli delle App: Non vi Scoraggiate! Se avete ben chiaro il vostro obbiettivo, riuscirete a raggiungerlo. Sfruttate tutta la vostra curiosità e la vostra energia per raggiungerlo.

Vorrei chiudere con qualcosa che personalmente mi colpì molto, il giorno che lo ascoltai per la prima volta. Ovvero con l’ormai noto «Stay Hungry. Stay Foolish» pronunciato da Steve Jobs nel famoso discorso alla Stanford del 12 giugno 2005. Se vuoi, potrai vederlo in questo storico video su youtube.

Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Siate affamati, siate folli, perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero.

Steve Jobs

Comunque vada: Non vi scoraggiate! È bello vedere in voi tanto entusiasmo.

Conclusioni

Spero che nessuno si senta in alcun modo offeso dal contenuto di questo post. Tuttavia, come addetto ai lavori, trovo sconcertante la facilità con la quale molti millantano con immotivata spavalderia conoscenze più o meno approfondite in questa peculiare materia. Questo post voleva essere un delicato ed affettuoso incoraggiamento.

Voglio loro un gran bene, e la locuzione Figli delle App, da cui prende il titolo questo post, è il mio personale modo di dimostrare l’affetto che ho per loro.

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